La Resistenza antifascista nelle fonti storiche – l’importanza della memoria, il contributo della tecnologia attuale e il memoriale della Resistenza Italiana
di Emma Castaldo, Lucrezia Mancini, Matteo Recchilongo e Fabio Burgisano (liceo Mamiani, classe 3ªI)
Dimenticare è l’arma più potente del mondo. Perché ricordare la storia in qualche modo vuol dire riviverla, e solo nel passato vi è la chiave per costruire un futuro. Ricordare, però, è complicato. La storia che si studia sui libri non basta, è completamente impersonale. Una serie di fatti, nomi e date che si susseguono, da imparare a memoria per essere poi dimenticati. La storia vera, invece, quella che va ricordata e vissuta, è quella delle persone che l’hanno fatta. Fonti personali, orali e scritte, che stonerebbero nei libri di storia, ma che sono la chiave d’interpretazione di essi. Per questo la raccolta di queste fonti è fondamentale. È tuttavia anche problematica: più si va indietro più sono difficili da rintracciare e, soprattutto, difficili da interpretare. Il compito dello storico in questo caso però non sta tanto nel riuscire ad astrarre fatti oggettivi da fonti personali, quanto nel capire il valore di quella determinata fonte, comprendere la persona che ne è l’artefice e inserirla all’interno del suo contesto storico. Durante gli incontri del progetto, sull’argomento si è particolarmente soffermato il professore Alessandro Portelli: ha raccontato delle sue esperienze con la raccolta di fonti orali, del suo lavoro di interpretazione e sul metodo di intervista, e soprattutto di come ognuna delle testimonianze da lui raccolte sconvolgesse volta per volta l’intero quadro che si era costruito dei fatti. Ha dunque reso chiaro come la storia dei soli fatti non dia la giusta comprensione di un determinato fenomeno, o perlomeno non sufficiente. Ai giorni nostri la raccolta e la diffusione delle fonti personali è certamente facilitata. Con tutti i suoi lati negativi, alla tecnologia dobbiamo riconoscere la sua ineguagliabile accessibilità. Fallace, labile, regno delle fake news da un lato, dall’altro si presta perfettamente alla conservazione di quelle fonti che vanno oltre il cartaceo, e rendono la loro divulgazione incredibilmente più facile.
In generale è importante non ignorare nessun periodo storico, ma forse ai giorni nostri il più fondamentale è quello della lotta e della resistenza antifascista. E non solo ricordare, ma capire, vivere…le conseguenze altrimenti non possono che essere disastrose. L’antifascismo è un valore che non deve assolutamente perdersi, non possiamo permettercelo. Eppure sta già succedendo, progressivamente, lentamente, l’ignoranza sta prendendo piede…e fa spazio alle peggiori idee. In questo caso soprattutto, quindi, le testimonianze individuali sono essenziali. Negli anni in cui stiamo perdendo gli ultimi partigiani, gli ultimi testimoni del vero fascismo e del vero antifascismo, raccogliere le storie di tutte queste incredibili persone impedirà che vengano dimenticati. E qui la tecnologia svolge un ruolo chiave. Eccone un recente esempio dei più significativi:
Nel 2019 inizia la ricerca delle testimonianze di centinaia di partigiane e partigiani, per la composizione di un Memoriale della Resistenza Italiana. Il progetto viene proposto dal giornalista e conduttore televisivo Gad Lerner e dalla giornalista Laura Gnocchi all’ ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani, fondata nel 1944), che ne è entusiasta e si fa carico del progetto. Scrivono i due ideatori: <<Chiunque abbia dato il suo contributo, piccolo o grande, alla lotta di Liberazione nei venti terribili mesi che vanno dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, merita di essere ricordato con riconoscenza da chi ha avuto la fortuna di nascere in un Paese che trova nella Costituzione repubblicana, per sua natura antifascista, le basi della convivenza democratica.>>. Perché anche la più piccola delle testimonianze è un in più per quel muro che si può ergere contro la forza distruttrice della negligenza. E così ha inizio la raccolta, da parte di volontari coordinati dai due giornalisti, di 500 testimonianze, tramite interviste video. Il presidente dell’ANPI Gianfranco Pagliaruolo fa presente: <<È la prima volta che le testimonianze dei partigiani e delle partigiane vengono realizzate e ordinate in modo sistematico, e viste nel loro insieme queste memorie soggettive ci forniscono un affresco corale di quello che è veramente stato, nella vita vissuta di chi vi ha partecipato, quel fenomeno chiamato Resistenza.>>. Dopo due anni di interviste, queste sono finalmente disponibili in video sul sito noipartigiani.it . Le prime 150 sono state rese disponibili dal 19 aprile, in occasione della festa della Liberazione, le restanti compariranno tra il 2 giugno e il 25 luglio. Il sito è strutturato come un mosaico in cui ogni casella è occupata da una foto e un nome. Cliccando su una casella possiamo non solo ascoltare, ma anche vedere l’individuo in questione. <<Tutti molto anziani, naturalmente. Immaginiamoli da giovani, da ragazzi, alcuni da ragazzini, quando, spesso in modo diverso l’uno dall’altro, ma uniti tutti dalla volontà di liberazione e di libertà, affrontarono un nemico spietato ed infinitamente più forte, e lo sconfissero.>> (da Gianfranco Pagliaruolo nella sezione “l’ANPI” del sito). Immaginare è difficile dai libri di storia, che in qualche modo priva gli individui di cui parla della loro umanità. Ma sentire, vedere degli uomini e delle donne che raccontano la propria, unica, autentica storia, dà una nuova ed intensa dimensione di realismo. E queste storie impressionano, commuovono, a maggior ragione se raccontate dai loro protagonisti. Mettere in pericolo la propria vita in nome di un’ideologia, in nome della libertà, resistere ad un regime che minaccia proprio quest’ultima: ognuno dei testimoni che abbiamo l’opportunità di ascoltare ha avuto il coraggio di farsi portatore di questi meriti.
“C’era una volta all’anno tutta l’adunata, tutti vestiti da fascisti, da piccoli italiani, a fare le marce…insomma da lì mi venne l’istinto di lottà contro di loro”. Carlo Mochi, nato a Rosignano Marittimo il primo marzo del 1925, soprannominato in battaglia “Ricciolo”, 3ª Brigata Garibaldi, ha combattuto con convinzione contro i fascisti in Italia per difendere i suoi ideali di Libertà. Fin da piccolo assiste frequentemente a scene di violenza contro suo padre, che sosteneva un’opinione diversa da quella degli altri, e lui stesso non sopporta le continue acclamazioni verso il duce che gli studenti erano costretti a fare a scuola, prima dell’ora di educazione fisica o durante le adunate annuali per marciare vestiti da fascisti. Carlo viene spesso arrestato e rischia persino la fucilazione. Ci racconta di quando a soli 16 anni, mentre cercava di rubare delle armi da un deposito nemico, fu scoperto e, per evitare la pena di fucilazione, disse che si sarebbe alleato con i fascisti. Fortunatamente riuscì a scappare, con la scusa di dover avvertire la madre vedova, facendo la promessa che sarebbe poi tornato (promessa che ovviamente non manterrà). Ma nonostante tutte le sue pericolose avventure, Carlo si ritiene soddisfatto delle sue scelte e di aver lottato per la sua idea di libertà: la democrazia. Lui non ha mai avuto paura di combattere per i suoi ideali – “sono sincero e non fingo, io paura non ne ho mai avuta. Mi sono sempre sentito spinto per quello che pensavo” – e va fiero di aver raggiunto i suoi scopi senza aver mai fatto del male a nessuno. “E un momento di felicità, invece di quel periodo?” – chiede l’intervistatrice – “Quando è finito tutto. È stato bello, tutti felici, tutti contenti, ci si abbracciava, quelli che erano scappati ritornavano…”. Carlo ricorda con gioia la Liberazione, ricorda l’euforia e la soddisfazione dell’aver visto i suoi ideali trionfare, i suoi sforzi non essere vani. Le sue parole, i suoi racconti, non possono che suscitare forti emozioni e, soprattutto, una grandissima gratitudine. Gratitudine verso di lui e verso tutte quelle persone che, pur consapevoli di rischiare la propria vita, hanno avuto il coraggio di non piegarsi alla dittatura fascista e di far valere i propri ideali, di combattere per un’Italia libera e democratica. Per cambiare il sistema basta questo: ardore, coraggio e determinazione sufficiente a non permettere a nessuno di toglierci la nostra libertà. Senza persone come Carlo, che fa sfoggio di tutte queste qualità, l’Italia sarebbe un paese ben diverso da quello in cui abbiamo la fortuna di vivere. Ed è una fortuna che non va mai dimenticata, così come le persone che ce l’hanno donata. Se noi giovani di oggi possiamo vivere in pace la nostra adolescenza, lo dobbiamo a quei ragazzi che non se lo sono potuto permettere. A quei ragazzi che hanno deciso di battersi per la Libertà, che hanno desiderato una società libera e giusta, senza nessun regime totalitario a limitare la libertà di parola, di stampa o di associazione. La cosa migliore che possiamo fare per rendergli omaggio è essere liberi, senza darlo per scontato. “Soddisfatto della sua vita? Sì, io ho lottato per la libertà”.
Mario di Maio, un partigiano romano nato a San Lorenzo nel 1928, nella sua intervista ci parla apertamente della sua vita, della sua famiglia, del padre antifascista. Subito dopo la breve presentazione narrata con una particolare enfasi, dovuta probabilmente ai ricordi dei genitori, ci racconta di diverse vicende riguardanti i fascisti e i loro soprusi. Una tra le cose che colpisce di più è il racconto delle minacce che i fascisti facevano ai negozianti, costringendoli ad andare in piazza ad acclamare il duce, da quel famoso balcone a piazza Venezia. È un fatto che non è troppo noto, ma che dà una prospettiva particolare di quello che è veramente stato il fascismo. C’è ancora chi dice “ma i treni arrivavano in orario”, “ha bonificato l’Agro Pontino”, e soprattutto: “L’unico sbaglio di Mussolini è stata l’alleanza con Hitler”. Ecco a cosa porta l’ignoranza, a pensare che il fascismo fosse un sistema come un altro, solo rovinato da quel lieve imprevisto che è stata la Seconda Guerra mondiale. Limitazione della libertà di parola e di pensiero, minacce, un clima di terrore: è questo che è stato il fascismo, anche se “l’Italia non è mai stata bella come quando c’era Lui”. L’ordine apparente non è altro che la manifestazione più terrificante di un regime totalitario e dittatoriale. E per giunta se i treni arrivavano in orario il duce non c’entra nulla. Certo è difficile che tutti i negozianti italiani siano stati vittime di minacce del genere, ma è inconfutabile che per l’Italia questo fu un periodo tra i più bui, e pieno di paura per i suoi cittadini – fascisti esclusi, s’intende. È proprio la paura ad essere il soggetto di un altro dei suoi racconti: incaricato di andare a prendere delle armi in una caserma fingendo di portare con sé un carretto di gelati, incontra un paio di nazisti tedeschi. Il ragazzo non comprende la loro lingua, e teme per la propria vita quando si vede puntata addosso una rivoltella. Ma era uno scherzo, e Mario riesce ad andarsene senza essere scoperto: “capirai, mi si era gelato il sangue… quando sono uscito le gambe mi arrivavano in testa”., racconta quasi ridendo. Perché è normale che anche i più coraggiosi degli uomini abbiano paura (il coraggio non è l’assenza di paura, quanto il riuscire a non sottomettersi ad essa). Può sembrare un’affermazione scontata ma non lo è più di tanto – basti pensare al nostro Carlo qui di sopra e a come insiste sulla sua impavidità. Perché immedesimarsi davvero in persone come loro è molto più difficile di quanto non sembri. Siamo tutti buoni a dire che faremmo di tutto per i nostri ideali ecc., ma il buttarsi a capofitto in una battaglia contro un regime come quello fascista, senza avere una minima idea del risultato, è una sensazione quasi impossibile da immaginare se non la si vive. Dev’essere stata un’angoscia indescrivibile, ed è impossibile non ammirare questi ragazzi che hanno combattuto per la propria libertà e per quella del popolo italiano, credendo fermamente in un ideale, disposti ad imbracciare le armi pur di liberarsi dall’oppressione e dall’ingiustizia, disposti a superare la paura dell’ignoto, la fatale incertezza senza la quale probabile che avremmo un numero di gran lunga maggiore di partigiani. È comunque errato pensare ad un terrore costante e distruttore. Una delle più belle caratteristiche dell’uomo è la sua solidarietà, la capacità di trovare sempre uno spiraglio di felicità. Dovunque ci sia solidarietà, ci sarà sempre una spinta al cambiamento, ci sarà sempre speranza, e ci saranno sempre attimi di gioia. È di questa felicità speranzosa che si tinge ogni lotta per la libertà. Mario ci parla della sua felicità, vissuta grazie alla fiducia che aveva nei propri compagni, nella fede per un futuro migliore e nella certezza che ciò per cui combatteva era giusto. Al momento della Liberazione, tra i fascisti in sommossa e le risse, Mario e i suoi compagni erano felici, erano liberi. Purtroppo però, la soddisfazione non tarda a macchiarsi di un’ombra di dissenso. “E invece l’Italia che è stata costruita e realizzata oggi, che effetto ti fa?” “Un effetto brutto. Preferisco tornare a dopo la guerra, che non avevamo un soldo in tasca ed eravamo le persone più felici.”. Mario non è soddisfatto dell’Italia di oggi, e fa bene. Certo, le conseguenze delle sue lotte sono ancora (fortunatamente) visibili, ma l’Italia in cui viviamo è ancora ben lungi dall’essere quella per cui ha combattuto. Tra le altre cose, Mario è anche autore dello stornello sul bombardamento di San Lorenzo (19 luglio 1943). Eccone un pezzo:
“Ma na vecchietta ci ha perduto er core
e cerca er figlio invano e non lo trova
pensa tra le mura sia rimasto
ma la sua bocca la senti cantà:
<<o duce infame,
sta guera tu non la dovevi fare
ho perso casa e le care persone
ma mo che ce fai vive tra ste pene
tu devi da crepare lì dentro la prigione>>”
La paura del dopo ce la racconta molto bene Amalia Geminiani. Nasce ad Alfonsine (Ravenna) il 26 Luglio 1925, suo padre è perseguitato da fascisti e si rifiuta di iscrivere Amalia alla quinta elementare: per farlo avrebbe dovuto andare alla scuola del paese, dove era obbligatorio iscriversi alle Piccole Italiane di Mussolini e indossare la loro divisa. È proprio a scuola che conosce Edoardo, il suo primo amore. I due crescono insieme, e si fidanzano in un giorno di neve leggera. Poi Edoardo, per sfuggire alla leva militare nell’esercito italiano, e si arruola nella brigata Garibaldi dei partigiani. Nel frattempo ad Amalia viene chiesto di prestare attività nei gruppi di difesa della donna – “io qui ho imparato ad essere donna, prima non lo ero.”. Gli ideali antifascisti prevedono infatti una libertà anche della figura femminile, contrapposta ai rigidi ruoli sociali che il fascismo ha cercato di imporre al genere femminile e a quello maschile. Partigiane donne ce ne sono, perché la libertà è di tutti e non ha genere. Insieme alle sue compagne assiste i partigiani della ventottesima brigata Garibaldi, stanziata in pianura per controllare i movimenti dei tedeschi. Portano messaggi, cibo, vestiti, tutto ovviamente di nascosto. Il primo aprile 1945 le arriva una notizia terribile: “era una giornata di sole bela bella e io piangevo perché il mio Edoardo stava morendo”. Il suo primo amore, a cui ancora era legata, è rimasto ferito da una scheggia all’intestino e non è sopravvissuto. Amalia è distrutta, tanto che quando il 25 aprile le arriva la notizia della fine della guerra il suo primo pensiero è: “<<ma come è finita la guerra?>> E per me cominciava allora”. Amalia ha perso suo padre, il suo fidanzato, la sua casa. Sua madre rimane vedova a prendersi cura di ben quattro figli, senza nient’altro. A tutto ciò si aggiunge la famosa paura del “dopo”, la terribile incertezza riguardo al futuro. Ci dice Amalia: “Non avevamo neanche un’idea di cosa può saltare fuori da una guerra. Ma da una guerra salta fuori solo la disperazione. Distrugge tutto, la guerra”. È comunque fiera, ci dice, di aver contribuito al raggiungimento della pace in cui tuttora viviamo, di aver affrontato tutto quello che ha dovuto affrontare, di aver sofferto così tanto, così che nessuno debba più farlo. Quello del dopoguerra per Amalia è un periodo molto duro. È in lotta con sé stessa, con i suoi sentimenti che non è in grado di dominare, e la battaglia dura per molti anni. Nel frattempo conosce Bruno, il padre di suo figlio, ma capisce che non è l’uomo per lui, e torna a legarsi, ormai quasi morbosamente, al ricordo del suo Edoardo. È difficilissimo. “Lottare contro uno che non c’è più, io non ce l’ho fatta”. Quella di Amalia è una storia commovente, con l’aggiunta del tema di questa tragica storia d’amore. Mette in risalto la crudeltà della guerra, la sua distruttività, fisica ed emotiva. Per ogni vittima di una guerra c’è una famiglia che non sarà mai quella di prima, per ogni Edoardo che muore c’è almeno un’Amalia che lo piange.
Abbiamo scelto questi tre personaggi, ma la verità è che ognuna delle testimonianze a cui abbiamo accesso costituisce di per sé una storia incredibile di coraggio e solidarietà. Meriterebbero tutte di essere ascoltate. <<È il loro dono e per questo ci sono cari. Non è un libro di storia, perché evoca un sentimento di gratitudine e ci presenta una galleria di ricordi che collega il passato al presente, che ci fa umani fra gli umani.>> (Gianfranco Pagliaruolo).
Il sito è destinato a tutta la cittadinanza, ai ricercatori storici, ma soprattutto ai giovani: che siano consapevoli di chi alla loro età fece la cosa giusta, che capiscano che la storia, quella che leggono sui libri, è fatta da persone tali e quali a loro. Un invito quindi a combattere l’ignoranza e la passività che nei ragazzi di oggi non fa che aumentare. Essendo i giovani i futuri adulti, è importante che portino con sé la loro eredità storica, che non la dimentichino mai e che vivano nei suoi valori. La storia la fanno le persone che decidono di farla, nessun altro.
Per concludere, vorremmo mandare un ringraziamento agli organizzatori del progetto Rete Scuole Memoria, che anche con una pandemia in corso ci hanno permesso di assistere a lezioni molto interessanti e di ascoltare bravissimi ospiti.